Una delle sindromi più diffuse nel mondo del lavoro è la sindrome della poltrona, volgarmente detta “poltronamania” o anche “effetto-poltrona”, essa colpisce indifferentemente uomini e donne, di età variabile e di qualsiasi contesto lavorativo, si può manifestare in maniera lenta e subdola oppure in modo palese e violento.
Il disturbo esplode nel momento esatto in cui l’individuo/lavoratore viene promosso passando ad occupare una poltrona, (simbolo di un avanzamento) una poltroncina o semplicemente qualcosa di più della semplice sedia.
A partire dell’insediamento al “nuovo ruolo” la patologia sopraggiunge dunque inevitabile; fortunatamente essa insorge solo in soggetti con forte propensione al comando e all’accentramento e attecchisce unicamente su quelli con attaccamento maniacale-ossessivo al lavoro con tendenza estrema al protagonismo.
In verità ciò potrebbe anche essere positivo se non fosse che tale sindrome si palesa in quelle persone che si ritrovano, fatalmente, senza particolari doti o attitudini, a ricoprire posizioni di rilievo.
I sintomi sono solitamente evidenti:
-abusata espressione del “sé” con conseguente uso del pronome IO piuttosto che del NOI;
-tendenza “all’acquisto” delle relazioni umane attraverso piccole attenzioni materiali (o grandi in base alle possibilità) e/o concessioni di favori al fine di accattivarsi simpatie e/o ricambio di favori;
-inclinazione a considerare tutti (anche i superiori) indipendentemente dalle loro abilità, come incapaci e impreparati ad operare, pur mantenendo un atteggiamento di riverenza verso i capi;
-visione di sé stessi come di entità superiori;
-comportamento ambiguo ed evasivo;
-attitudine ad agire in sordina;
-spudorato senso della macchinazione;
-scarsa capacità di comunicazione e soprattutto di condivisione;
-idea fissa “la poltrona è mia nessuno me la toglie”.
Altri segnali indicativi di questa patologia sono il tono prevalentemente imperativo e l’uso di un lessico ampolloso ricco di locuzioni e citazioni prese a prestito dai registri linguistici più disparati.
Potenzialmente pericolosa è anche la situazione in cui patologici della poltrona si associano tra loro in un rapporto di anomala cooperazione, questa “unione” potrebbe, difatti, portare alla distruzione reciproca o in caso di male minore ad un equilibrio malsano di sudditanza psicologica in cui il patologico più forte gestisce il più debole.
Si rileva inoltre che le persone affette da poltronomania hanno la presunzione, o forse anche una forma di singolare ingenuità, di credere che le loro azioni e le loro manifestazioni patologiche non vengano percepite o comprese da quanti lavorino con loro, pensando così di offendere l’intelligenza altrui. Da questo punto di vista i colleghi dei casi patologici posso stare tranquilli perché le loro azioni vengono facilmente svelate tanto sono grette e, a lungo termine, si ritorcono contro gli stessi soggetti affetti dalla sindrome; inoltre non c’è possibilità di contagio qualora, beninteso, non ci sia già una predisposizione naturale (vedi anche caso dell’associazione tra patologici).
Terapie consigliate:
-trasfusioni di senso della lealtà;
-dosi massicce di sostanza;
-salassi di apparenza.
Tuttavia queste terapie se non somministrate quotidianamente e a vita e soprattutto con il consenso dei pazienti non hanno alcuna efficacia.
A queste persone “che non stanno bene” abbiamo voluto rivolgere, oggi, i nostri pensieri ed a loro va la nostra compassione per la miseria del loro spirito e delle loro vite e confidiamo nei progressi della scienza affinché si trovino rimedi definitivi per la loro condizione.